lunedì 22 settembre 2014

Quello che vi presentiamo oggi è un vero e proprio manuale di allenamento alla danza, infatti il ballo è si un'arte, ma richiede un fisico sciolto e potente come quello degli sportivi.


Il libro è diviso in tre parti. Nella prima il praticante (allievo o maestro) troverà tutte le indicazioni necessarie a potenziare la forza, la resistenza e la rapidità (qualità fondamentali per un ballerino/a).
Nella seconda parte l'osteopata fornisce indicazioni e avvertenze utili al fine di evitare che un'attività fisica intensa possa causare danni.
Nella terza parte infine, tramite l'ausilio di svariate fotografie, sono consigliati alcuni esercizi specifici di particolare utilità.


Nel nostro gruppo facebook sono disponibili i primi due capitoli del libro, leggili direttamente da qui: https://www.facebook.com/groups/515529761925430/515530748591998/
Per acquistare il libro intero clicca qui:  http://www.edizionisi.com/libri/Ballo_Danza_Corpo.asp
Se vuoi conoscere i nostri altri titoli visita il sito della nostra casa editrice: http://www.edizionisi.com/

mercoledì 17 settembre 2014

In principio fu il crudo

Il nuovo libro di Madeleine O'Connor: "In principio fu il crudo! Principi, Benefici e Ricette dell'Alimentazione Crudista".
Madeleine ci invita a riscoprire la nostra naturale dieta elettiva, l'alimentazione crudista a base di frutta e verdure e il naturale benessere che ne consegue. Innumerevoli sono i vantaggi di questa alimentazione delle origini: dalla guarigione da patologie anche dichiarate inguaribili, dal minor impatto ambientale, al minor tempo perso per cucinare i cibi, al minor denaro speso in falsi cibi ecc...



Un libro per tutti, ma dedicato soprattutto a chi vuole uscire dalla spirale dei falsi bisogni indotti da una società che ormai a perso ogni contatto con le sue origini.

Ordinalo direttamente da qui: http://www.edizionisi.com/libri/In_principio_fu_il_crudo.asp
Oppure visita il sito della nostra casa editrice: http://www.edizionisi.com/home.asp

Seguici anche su facebook nella pagina: Edizioni Si - Studi Interiori

venerdì 12 settembre 2014

Il nuovo libro di Monia Benini, L’Unione Europea: il mito e la realtà
Un libro che svela i retroscena di una Europa schiava di una oligarchia "occulta"






Qui di seguito potrete leggere l'anteprima del libro


Capitolo I
Ripartiamo dalla ‘casa’ ricevuta in eredità


A volte ho l'impressione che la maggior parte dei politici non abbia ancora capito quanto essi siano già sotto il controllo dei mercati finanziari, e siano persino dominati da questi”
H.Tietmeyer, ex presidente della Bundesbank, al Forum di Davos del 1996

In Liberarsi dalla dittatura europea, tutto il ragionamento si è sviluppato attraverso l'esempio di questa Unione Europea paragonata a una casa ricevuta in eredità. 

Una casa con le fondamenta intaccate, fatiscente e a continuo rischio di crollo; un edificio che qualcuno si ostina a voler stuccare, ritinteggiare, riarredare, nonostante la struttura sia compromessa. 
L’europeismo ideologico, quello del ‘senza se e senza ma’, ci tiene segregati in quell’edificio ricevuto in eredità da forze politiche compromesse con i 'costruttori' e ogni tanto… cede un soffitto o un pavimento oppure ci cade una tegola in testa.
Cambiando esempio, si potrebbe paragonare l'attuale struttura europea a una pianta che si vorrebbe forte e rigogliosa. Un’Europa dunque che appartenga ai cittadini europei, trasparente, partecipata, pacifica, basata sul reciproco rispetto e sulla condivisione politica e culturale degli Stati e dei popoli membri. Peccato però che questa pianta non solo abbia un tumore alle radici, ma sia addirittura colma di metastasi in tutte le sue parti.

Un tumore alla radice

La pianta europea è cresciuta partendo da una massa anomala innata nel progetto, che è in seguito proliferata, causando la malattia, o per meglio dire la degenerazione di varie parti della struttura. Una sorta di pianta 'geneticamente modificata’, un OGM creato nei laboratori della grande finanza. Perché parlo di un'Europa OGM? 
Innanzitutto è bene precisare che questa Unione Europea non è un'organizzazione fra governi (come ad esempio l'ONU) e tanto meno una federazione fra Stati (come sono gli USA). Questa Unione è un'istituzione inedita, che ha sottratto sovranità ai paesi membri attraverso trattati e accordi incostituzionali e con l'imposizione di fonti giuridiche di rango superiore a quelle nazionali, oltre ad atti e direttive vincolanti per i paesi della UE.
Andiamo però per gradi e partiamo dall’inizio. Partiamo da quegli ‘aiuti’ che hanno portato alla nascita della CEE, la Comunità Economica Europea. Come ho già scritto, la cornice negoziale che portò alla creazione del Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (1951) e alla firma del trattato di Roma nel 1957 che avviò la Comunità Europea, è in gran parte costituita dalla OCEE, l'Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea. Tale struttura fu istituita nella capitale francese nell'ambito di realizzazione del Piano Marshall, ufficialmente noto come ERP: European Recovery Plan. 

Nella OCEE entrarono subito Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Gran Bretagna, Grecia, Irlanda, Islanda, Italia, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Svezia, Svizzera, Turchia, oltre a Canada e Stati Uniti, mentre la Germania Occidentale fu ammessa solo dopo la sua nascita formale, ovvero nel 1949. 

Nell'insieme, il piano Marshall per l'Europa (attivo dal 1948 al 1951), rappresentò l’unico modo per poter ottenere in prestito quanto serviva per acquistare materie prime, mezzi di produzione, beni industriali e di consumo dagli Stati Uniti, che poterono così affermare una posizione di predominio in larga parte dell’Europa: il Piano divenne quindi un utilissimo cavallo di Troia degli USA per impadronirsi dei mercati europei, soggiogare l’economia e gli apparati produttivi europei, anche attraverso quelle corporations che, con aiuti diretti del governo USA e con la grande domanda europea, si trasformarono ben presto nelle attuali multinazionali globalizzatrici. Fu lo stesso sottosegretario statunitense per gli affari economici Will Clayton a dichiarare i motivi profondi che stavano alla base del piano Marshall: “Ammettiamolo apertamente,” disse in difesa dell'idea degli aiuti esteri “che abbiamo bisogno di mercati – grandi mercati – nei quali comprare e vendere.” 
In sostanza dunque l'intenzione non è di aiutare i paesi stranieri, ma quella di rinsaldare e sviluppare nuove sinergie tra politica, finanza e corporations che effettivamente ottengono i contratti mentre il governo acquista influenza politica all'estero. Will Clayton pubblicizzò il Piano Marshall come il trionfo della "libera impresa" ed ebbe modo di asserire che “dovremmo riordinare e riadattare la nostra intera economia in questo paese se perdessimo il mercato europeo”.
Un'ulteriore conferma viene da Robert D. Hormats, sottosegretario di Stato americano per la crescita economica, l'energia e l'ambiente che recentemente ha dichiarato: “Dopo la Seconda Guerra Mondiale, i leader americani riconobbero che il nostro comune futuro – non solo quello dell'Europa – dipendeva dalla ricostruzione post bellica europea (…). Ecco perché il Piano Marshall combinando la sicurezza con una forte dimensione economica ottenne un simile supporto da parte degli Stati Uniti.”. Seguendo i vari passaggi del piano Marshall, risulta ancora più evidente il peccato originale di questa Europa, nata fondamentalmente sul pilastro degli scambi economici e per soddisfare le esigenze del mercato e delle corporations statunitensi. Concetto ribadito senza esitazione anche dallo speculatore finanziario (come egli stesso ama definirsi), naturalizzato statunitense, George Soros: “La nostra grande fortuna alla fine della Guerra fu il piano Marshall. Senza di questo l'Unione Europea non sarebbe stata affatto pensabile, fu la sua levatrice.”
Da questo seme, germogliò in seguito una pianta il cui sviluppo era già pesantemente minacciato, come si può chiaramente scorgere ancora oggi rileggendo il Dossier Pierre Werner (1970) contenente il Rapporto al Consiglio e alla Commissione sulla realizzazione a tappe di un processo unificatore: “Unione economica e monetaria significa che le decisioni principali di politica economica saranno assunte a livello Comunitario, perciò i poteri necessari saranno trasferiti dal livello nazionale a quello dell’Unione.” 
Ed è proprio quanto è stato fatto con l’approvazione del trattato di Maastricht nel 1992 e la creazione della Banca Centrale Europea, alla quale i paesi membri hanno ceduto la propria sovranità monetaria (e in larghissima parte anche economica). L'Italia è stata trascinata all'interno di questa gabbia con una propaganda senza pari, con finanziarie di lacrime e sangue, con un prelievo forzoso notturno, con trucchi contabili e con il segreto di Stato imposto dal governo tecnico Dini attraverso il Decreto Legislativo 561 del 1995. 
Dove ci siamo ritrovati? Non certo nel paese dei balocchi. 
Ci siamo ritrovati all'interno di un mercato comune (difficile parlare di unione monetaria, dato che oggi nell'Unione Europea numerosi stati hanno mantenuto la propria valuta nazionale), in un'area che ha adottato l'Euro, ossia quella moneta definita irrinunciabile perché assicura il primato dell'economia tedesca. Peccato però che oltre alla Germania vi siano altri 27 Stati nell'Unione e che riesca difficile da accettare una valuta che garantisce il vantaggio tedesco a discapito, come avviene nella realtà, degli altri. Certo, c'è anche chi, come il Presidente della Repubblica italiana, Napolitano, si spinge a giustificare il tutto come una forma di solidarietà involontaria, ma chi ha perso casa, lavoro, azienda, futuro... credo non apprezzerà di sapere di essere stato suo malgrado generosamente immolato per solidarietà con l'esigenza di assicurare il primato dell'economia tedesca in Europa. 
Per il finanziere speculatore George Soros, invece, l'euro esiste e il suo collasso provocherebbe perdite incalcolabili al sistema bancario.Al sistema bancario dunque, e non ai popoli europei (e non a caso tutta una serie di strumenti e meccanismi europei sono stati ideati appositamente per essere salva-banche, travestiti da salva-Stati). 
Ci siamo ritrovati nella gabbia di una moneta il cui giudizio da parte di Kevin Hjorts’S O'Rourke, nell'articolo Whither the Euro?, pubblicato sul numero di marzo 2014 della rivista Finance & Development (del Fondo Monetario Internazionale), non può certo dirsi lusinghiero: ‘Se alla fine l'euro fosse abbandonato, penso che fra cinquant'anni gli storici vorranno sapere come èaccaduto che sia stato introdotto”.
In effetti, secondo Soros, la situazione è stata sottovalutata sin dall'inizio, sia in Europa che negli USA: “Nessuno di noi, non mi tiro affatto fuori, riconobbe la grave debolezza dell'Unione Monetaria, ovvero che gli Stati membri della UE cedevano alla Banca Centrale Europea il diritto di stampare denaro nella propria valuta. Vale a dire, in futuro, essi dovevano prendere a prestito denaro in una valuta che loro stessi non potevano controllare. Il controllo avveniva attraverso l'eurogruppo, non attraverso i singoli Stati. Si ritrovavano quindi nella stessa situazione degli Stati del Terzo Mondo, costretti a prestiti in dollari o in euro. 
In questo modo dovevano di colpo far fronte a una possibile bancarotta dello Stato. Questa bancarotta non rappresenta mai un'opzione finché gli istituti di emissione pubblici possono stampare moneta per pareggiare i conti o pagare gli interessi.” 
Opzione invece più che concreta nei paesi dell'Eurozona, dove gli istituti di emissione (Banche Centrali) sono spesso di proprietà privata – come in Italia – e dove soprattutto non possono più stampare denaro, avendo ceduto la loro sovranità in materia alla Banca Centrale Europea. I vertici della BCE, come quelli delle altre istituzioni europee dotate di potere decisionale concreto, non sono eletti dai cittadini, né sono sottoposti ad alcun tipo di controllo da parte degli elettori. Andiamo a votare ogni 5 anni per un Europarlamento che ha funzioni prevalenti di carattere consultivo: si esprime cioè con pareri su documenti redatti e presentati dal Consiglio e dalla Commissione Europea, ma chi legifera in concreto sono queste ultime. Siamo governati da istituzioni nominate e non elette, distinte e distanti da qualsivoglia forma di democrazia, sia che intendiate questo concetto come governo del popolo sia che, ancor più, la immaginiate come il popolo al potere.
Giuseppe Guarino, giurista, già ministro delle Finanze, spiega con lucidità la portata del trattato di Maastricht e come questo sia stato stravolto da un regolamento, all'apparenza innocuo, approvato a distanza di alcuni anni. Nel Trattato sull'Unione Europea (TUE), infatti, ci sono due articoli (102 A e 103) che stabiliscono che il compito di provvedere allo sviluppo spetta a ciascuno Stato membro, che dovrebbe quindi realizzarlo attraverso una propria politica economica. Invece ci si è trovati a subire le conseguenze di un colpo di Stato, ossia – come spiega Guarino – con una modifica degli aspetti fondamentali del “sistema costituzionale di uno Stato, con violazione delle norme vigenti”. 
Infatti, in maniera fraudolenta fu introdotto un regolamento, il 1466 del 1997, con cui fu violato il diritto costituzionale degli Stati: “La sovranità degli Stati membri è stata vulnerata perché è stata loro sottratta la funzione 'esclusiva' (…) di promuovere lo sviluppo dell'UE e della zona euro con le proprie 'politiche economiche'. La Costituzione degli Stati è stata violata perché sono stati imposti ai loro organi interni obblighi e condotte che i rispettivi ordinamenti costituzionali non contemplano.” Il risultato è, secondo il giurista, l'entrata in vigore di una moneta soggetta a una disciplina diversa da quella prevista dall'originale trattato di Maastricht, attraverso un procedimento di regolamentazione che ha modificato e violato lo stesso trattato. 
Ciò basterebbe a fornire le basi necessarie a riconoscere come ‘odioso’ o ‘detestabile’ l'attuale debito (e ciò permette, dal punto di vista del Diritto Internazionale di metterlo in discussione e, se è il caso, di non onorarlo, del tutto o in parte), contratto principalmente – dati alla mano – in seguito all'entrata in vigore del trattato stesso.
L'ex ministro precisa inoltre che il regolamento n. 1466 ha sostituito l'obiettivo della crescita (previsto dagli articoli 102 A, 103, 104 c del Trattato di Maastricht) con il “pareggio del bilancio da conseguirsi a medio termine con l'osservanza di uno specifico percorso.” Il “diritto/potere” degli Stati membri di concorrere alla crescita attraverso le proprie politiche economiche viene ribaltato nell'obbligo del pareggio di bilancio a medio termine. Il risultato è tale da far accapponare la pelle: “Cancellando la capacità degli Stati membri senza deroga di compiere scelte autonome di politica economica finalizzata alla crescita, si è preclusa ai loro cittadini qualsiasi possibilità di influenzare le decisioni di politica economica, ai cui effetti vengono assoggettati. La democrazia è principio fondante dell'UE. Nessuno Stato può esservi ammesso se il suo ordinamento non sia conforme al principio democratico. La democrazia (…) consiste nel potere dei cittadini di influire con il voto, in modo diretto o indiretto, sulle decisioni di governo cui andranno soggetti.” 
Con l'entrata in vigore del regolamento n. 1466 del 1997 c'è quindi stata, di fatto, una soppressione del regime democratico per quanto riguarda le politiche economiche e monetarie dei vari paesi membri.

Con buona pace di chi inneggiava nel 2008 al Trattato di Lisbona (approvato all'unanimità in Senato, con i voti di PD, PDL, Lega, IDV, UDC, SVP) come strumento di ampliamento democratico europeo, anche questo si è rivelato un congegno per soggiogare popoli e nazioni. Lo stesso Giscard d’Estaing, in un intervento del 30 ottobre del 2007, (vedi nota 18) spiegava che “Il Trattato è uguale alla Costituzione bocciata. Solo il formato è differente, per evitare i referendum.” Infatti dopo la bocciatura attraverso referendum in Francia e nei Paesi Bassi della Costituzione Europea, il contenuto del testo fu riproposto sostanzialmente sotto forma di trattato. Lo stesso testo, uscito dalla porta e rientrato, dopo un cambio di veste, dalla finestra. 

Il trattato di Lisbona è entrato in vigore il 1 dicembre 2009 e ha riposto tutte le funzioni della Comunità europea in seno all'Unione Europea. Il consolidato derivante dal trattato istitutivo della CEE (1957), Maastricht (1992), Amsterdam (1997), Nizza (2000) e Lisbona (2007) è oggi riportato nel trattato sul funzionamento dell'Unione Europea, capace di nascondere insidiose contraddizioni al proprio interno. 
È il caso dell'articolo 151 (TFUE) dove si legge che:“L'Unione e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali, quali quelli definiti nella Carta sociale europea firmata a Torino il 18 ottobre 1961 e nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989, hanno come obiettivi la promozione dell'occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso, una protezione sociale adeguata, il dialogo sociale, lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazionale elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione.” 
Basterebbe prendere atto dei risultati oggettivi portati oggi dall'Unione per rendersi conto di come questa parte sia stata palesemente disattesa, per supportare invece l'esatto opposto, declinato nel prosieguo dello stesso articolo: “A tal fine, l'Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell'economia dell'Unione.” È del tutto evidente che la promozione dell'occupazione, un miglioramento delle condizioni di lavoro e una protezione sociale adeguata sono confliggenti con il mantenimento della competitività dell'Unione: è forse possibile essere competitivi ad esempio con la Cina o con gli stessi paesi appena entrati nell'Unione Europea mantenendo elevati standard retributivi e di tutela dei lavoratori?

E che dire dell'articolo 28A che prevede: “La politica di sicurezza e di difesa comune costituisce parte integrante della politica estera e di sicurezza comune. Essa assicura che l'Unione disponga di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari. L'Unione può avvalersi di tali mezzi in missioni al suo esterno per garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente ai principi della Carta delle Nazioni Unite. L'esecuzione di tali compiti si basa sulle capacità fornite dagli Stati membri.” Alla faccia dell'articolo 11 della Costituzione e del ripudio della guerra, almeno ora si comprende perché sia così impellente l'acquisto dei cacciabombardieri F35: servono mezzi militari per garantire la politica estera e di difesa comune dell'Unione. Cornuti e mazziati, vista la spesa folle, dati i problemi tecnici dei veicoli aerei e tenuto conto del fatto che non avremmo certo bisogno di rincorrere gli spasmodici istinti ‘pacifinti’ della NATO (gestita dagli USA e che decide le scelte militari e di politica estera dei paesi dell'UE) o di altri paesi membri di questa Unione, creata con un colpo di Stato che ha violato lo stesso trattato costitutivo (Maastricht). 

La presa in giro dei cittadini è cominciata peròcon le dichiarazioni di Jean Monnet in una lettera che data addirittura 1952: ‘Le nazioni europee dovrebbero essere guidate verso un SuperStato senza che le loro popolazioni si accorgano di quanto sta accadendo. Tale obiettivo potràessere raggiunto attraverso passi successivi ognuno dei quali nascosto sotto una veste e una finalitàmeramente economica.” Molto piùrecentemente, in un articolo pubblicato da La Stampa il 13 luglio del 2000 (a cura di Barbara Spinelli, che riporta senza battere ciglio una dichiarazione mostruosa), ancor prima della circolazione esclusiva dell'Euro, si getta la maschera: ‘Bisogna agire ‘come se’, in Europa: come se si volessero poche cose, per

ottenerne molte.  Come se gli Stati restassero sovrani, per convincerli a non esserlo più La Commissione di Bruxelles, ad esempio, deve agire come se fosse un organo tecnico, per poter operare alla stregua di un governo. E cosìvia, dissimulando e sottacendo.” Parola di Giuliano Amato.
Insomma un colossale castello di carte che si regge, sui trattati e, come si dirà più in dettaglio, su un unico pilastro granitico: la grande finanza internazionale e l'abominevole potere di un sistema costituito da multinazionali, politici e media, asserviti al dio denaro.
Una pianta malata, con un tumore ormai diffuso in tutti i suoi apparati.

Una pianta che ci toglie ossigeno
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione: Art.1, comma 2, Costituzione italiana
Un'utopia, oggi: la sovranità popolare. In base alla nostra Costituzione le scelte politiche dello Stato si dovrebbero basare sulla volontà dei cittadini. “La sovranità è il contrassegno essenziale di uno Stato. Essa può essere definita come la suprema autorità che lo Stato deve avere, nell'ambito che gli è proprio, per raggiungere il suo fine, che è il bene pubblico dei cittadini, ossia la loro vita virtuosa in comune.” 
Con Maastricht e Lisbona, invece, la sovranità monetaria (e non solo) è stata ceduta alla Banca Centrale Europea, facendo piazza pulita della funzione e del concetto stesso di 'Stato'.
In particolare, con il trattato di Lisbona, abbiamo assistito al più massiccio svuotamento di competenze degli Stati mai avvenuto prima nella storia d'Europa. La nostra carta fondamentale, la Costituzione, è divenuta carta straccia, subordinata de facto alla prevalenza del diritto comunitario su quello interno. Uno stravolgimento complessivo, avvenuto tra l'altro rispettando il Codice Penale, ‘casualmente' modificato nel 2006, in modo tale che la magistratura possa intervenire rispetto a un colpo di Stato o a una minaccia all'integrità del paese solo se in presenza di “atti violenti”. Invece, con i trattati europei non vi sono stati atti violenti. Tutt'altro: una classe dirigente ha ceduto la nostra sovranità, piegando la Costituzione alle strutture del nuovo super-Stato europeo che è tutt'altra cosa di un'Europa dei cittadini.
Ad esempio, se pure si è parlato della lettera del 5 agosto 2011 inviata dalla BCE al governo Berlusconi e nonostante sia recentemente esploso il caso relativo alle dichiarazioni di Timothy Geithner sulla trama europea per far cadere quello stesso governo, in pochi hanno concentrato l'attenzione su un altro fatto gravissimo. 
Esiste infatti una lettera ancora più rilevante; quella inviata dal Commissario Europeo Olli Rehn al ministro Tremonti il 4 novembre 2011 con allegato un 'questionario' con 39 punti, in relazione ai quali il Ministro avrebbe dovuto provvedere a fornire risposte precise entro l'11 novembre, ovvero entro il giorno che poi risultò essere precedente alla dichiarazione di dimissioni del Premier Berlusconi. In ogni singola domanda, si celava una misura imposta: Tremonti avrebbe dovuto indicare se si trattava di qualcosa di già realizzato o avviato e a che punto ci si trovava, oppure se era un provvedimento già adottato dal Governo ma non ancora approvato dal Parlamento (e in questo caso, sarebbe stato necessario specificare quando ciò sarebbe avvenuto), o ancora se si trattava di una nuova azione da intraprendere (e in tal caso, si sarebbe dovuta precisare la tempistica). 
In ogni caso, era necessario fornire il budget di spesa e indicare con cura i mezzi di copertura finanziaria. Tono e contenuti della lettera e di ciò che viene definito come questionario sono una chiara riprova di chi realmente comanda e detta le cose da fare, oltre a palesare che il governo italiano è subordinato e deve eseguire.
Fra i punti messi letteralmente nero su bianco, c'erano alcune raccomandazioni-richieste alle quali non si poteva certo dire di no, per cui laddove Tremonti non poté più intervenire (dimesso Berlusconi), ci pensarono i governi di Mario Monti ed Enrico Letta, nominati senza alcuna consultazione elettorale: 
- spending review o per dirla con parole più propriamente italiane, ma indubbiamente meno affascinanti, il taglio della spesa pubblica (ci pensò il governo Letta, con la nomina a commissario alla spending review di Carlo Cottarelli, già dirigente apicale del Fondo Monetario Internazionale);
- piani per la vendita di beni statali e delle partecipazioni pubbliche in grandi aziende ancora a prevalente proprietà statale;
incremento dell'età pensionabile (decisa dal governo Monti); 
attuazione pratica del pareggio di bilancio inserito in Costituzione con la modifica dell'articolo 81, nonché la sua realizzazione anche a livello di enti locali; 
- riforma delle tasse con lo spostamento della pressione fiscale dal lavoro ai consumi e ai beni immobili (aumento dell'IVA e introduzione dell'IMU di 'montiana' memoria); 
- indirizzi politici netti, come al punto 10, laddove si legge che “Il governo [italiano, NdA] ha pianificato di impiegare i fondi europei verso l'educazione, la banda larga, le ferrovie. In quali settori è stata pianificata dal governo una riduzione di fondi a compensazione?”;
- programmi di intervento sulle scuole che non otterranno risultati soddisfacenti in base ai test INVALSI;
- tipologie di contratto di lavoro da introdurre per i giovani, all'insegna dell'ormai tristemente noto concetto della flessibilità (paravento dietro il quale si cela lo scheletro del precariato); 
- riforma del lavoro;
- abolizione delle tariffe minime per le prestazioni professionali;
- abolizione delle barriere di ingresso alle professioni;
- riforma del settore idrico, “nonostante – si legge – i risultati del recente referendum”(!?);
- impostazione delle politiche del governo in materia di porti, aeroporti, infrastrutture stradali;
- riforme delle istituzioni politiche che comportino risparmi di spesa;
miglioramento della governance del paese attraverso la riduzione del numero di parlamentari.
In sostanza, in quella letterina di inizio novembre 2011, si trovavano scritte le politiche dettate implicitamente dalla Commissione Europea, che il governo avrebbe dovuto realizzare in concreto. 
E se non ci fosse riuscito? Basta chiedere a Berlusconi, Monti e a Letta per sapere cosa succede se non ci si attiene scrupolosamente ad ogni singolo dettaglio delle raccomandazioni: si va a casa e si viene sostituiti da una persona maggiormente 'grata' (gradita), come Renzi. Scrive Lucio Gallino che “Mai, nella storia della Repubblica italiana, si era vista una lettera inviata da un organismo europeo, non eletto da nessuno, che contenesse prescrizioni di riforme strutturali tanto particolareggiate e incisive, né si era visto un governo adoperarsi per obbedire e attuarle, non appena ricevute, con la massima urgenza.”. Mai la Repubblica italiana aveva subito un regime politico caratterizzato dalla concentrazione di tutto il potere in un solo organo collegiale, potere esercitato dalla cosiddetta troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale) senza alcun controllo. E ora lascio ai lettori più curiosi spulciare ad esempio la Treccani per trovare il significato del termine dittatura e trarre le proprie considerazioni sulla situazione italiana. 
Situazione ancora più evidente se si considera l'introduzione di alcune misure come il Meccanismo Europeo di Stabilità o, ancor prima, del Six Pack, risalente al dicembre 2011, quando su proposta della Commissione Europea è stata imposta una sorveglianza economica e fiscale pressante su tutti gli stati membri. Si tratta di una direttiva e cinque regolamenti che dettagliano le penalità da infliggere agli Stati che non rispettano il parametro del deficit di bilancio (3% annuo sul PIL) e le modalità di riduzione del debito che dovrà essere inferiore al 60% del PIL nell'arco di un ventennio (un altro 'ventennio'!). Parte singolare e curiosa del 'pacchetto' europeo è la procedura di penalizzazione automatica, in base alla quale “le sanzioni vengono inflitte in ogni caso a un Paese che non rispetta i suoi obblighi, a meno che una maggioranza qualificata degli Stati membri voti contro. Tempo concesso per farlo, ivi comprese delibera del governo interessato, esame delle commissioni parlamentari, voto di camera bassa e camera alta: dieci giorni.” 
Altro che Mission Impossible!
Riassumendo dunque le modalità operative della troika, si noti ancora una volta che si tratta di prescrizioni apparentemente blande, ma i cui effetti reali sono forme autoritarie di potere; un potere non certo scelto democraticamente e per di più esterno all'Italia. 
E se il governo non esegue? L'abbiamo visto. Più volte. Il governo viene mandato a casa (addirittura con la scusa di una crisi interna a una delle forze di maggioranza) e si nomina un nuovo leader (ma non eravamo entrati nella 'seconda repubblica' che avrebbe evitato i cambi di governo senza nuove elezioni?), un 'capo' che possa meglio ubbidire e meglio rappresentare il potere delle banche. 
Qualche tempo fa, in Grecia, fu tutto molto evidente: a pochissimi giorni dalla proposta lanciata da Papandreou di indire un referendum sull’euro, questo dovette dimettersi. 
Al suo posto fu rapidamente collocato Lucas Papademos, ex numero due della BCE, già governatore della Banca Centrale di Atene e membro storico del ramo europeo della Commissione Trilaterale, uno di quei gruppi che prediligono il lavoro a porte chiuse, fondato nel 1973 da  David Rockefeller, Henry Kissinger e Zbigniew Brzezinski. Alla faccia della culla della democrazia!
Ma di che democrazia si parla? Quella dove rischia di non trovare più espressione la libertà di pensiero politico o di governo scelto dal popolo (ammesso che con le nuove modifiche alla legge elettorale non decidano di abbandonare anche la parvenza democratica)? 
Non si tratta di una preoccupazione forzatamente 'esagerata' da una sensibilità euroscettica. ‘L'Europa deve diventare il nuovo spartiacque, la discriminante per definire quei partiti che possono candidarsi a governare i paesi dell'Unione . Adesso la linea di divisione [rispetto all'arco costituzionale, come ben si evince dal testo, NdA]  è se sei dentro l'orizzonte dell'Unione Europea sia pure per riformarla oppure se spari da fuori.’ 
Parola del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. 
Si sarà reso conto che bollare chi non accetta la dittatura della troika come 'fuori' dalla sua idea di democrazia o di arco costituzionale è di una gravità enorme? Sono parole dure e dal sapore amarissimo per quanti soccombono quotidianamente agli spari che arrivano 'da dentro': dalle direttive e dagli atti che piegano la nostra produzione, ai continui sacrifici richiesti per il salvataggio o la ricapitalizzazione delle banche.
È lo stesso Soros che ammette: ‘Per evitare il collasso del sistema finanziario internazionale, ci fu un accanimento terapeutico pagato di tasca propria dai cittadini dei vari paesi europei costretti a proteggere le banche dal rischio fallimento e dall’incertezza dei mercati”. Mercati che, fra l’altro, sono drogati da alcuni eserciti di questa contemporanea guerra finanziaria: dalle agenzie di rating all’arroganza speculativa di un capitalismo pronto a scommettere su tutto: dal prezzo futuro delle materie prime, al fallimento vero e proprio di interi paesi. 
Non è dunque più possibile parlare di economia reale, giacché si è assistito a una vera e propria finanziarizzazione della stessa economia. La finanza trasformata da mezzo in fine in se stesso. Un ribaltamento completo delle priorità in cui la finanza non è più al servizio dell’economia reale, ma al contrario è l’economia a essere influenzata e sempre più spesso guidata dalle decisioni prese dal mondo finanziario.

Ci siamo trovati catapultati in un sistema, quello governato dalle banche e dalle multinazionali (le cui proprietà azionarie spesso collimano e si concentrano nelle mani delle famiglie della grande finanza globale), in cui il capitale condiziona, piega e sacrifica l’uomo. Ci troviamo circondati da un’economia finanziaria per lo più virtuale poiché ogni anno avviene una movimentazione finanziaria per un valore enormemente superiore al PIL mondiale. Appunto una finanziarizzazione dell’economia basata sulla speculazione, sulla scommessa, su ‘prodotti’ artificiali e virtuali, su fondi cosiddetti spazzatura, che si trasformano abilmente in armi letali nelle mani dei banksters e delle istituzioni europee, i ‘padroni di casa nostra’.



Per info e ordinazioni visita il sito della nostra casa editrice:  http://www.edizionisi.com/home.asp

Di seguito i primi due capitoli del libro di Alessandro De Angelis, Gesù il Che Guevara dell'Anno Zero

Capitolo Primo
La nascita delle religioni

Nel primo volume della trilogia Oltre la mente di Dio abbiamo descritto le dinamiche che portarono alla catastrofe narrata da numerose culture e nota come “diluvio universale”, catastrofe che causò la quasi totale estinzione del genere umano dovuta alla caduta di un asteroide 12.900 anni or sono.
Da quando la Terra ha iniziato ad ospitare le prime forme di vita, è stata soggetta a numerose catastrofi, quali esplosioni di supervulcani, ere glaciali, cadute di asteroidi con impatti devastanti che portarono, in più di una occasione, all’estinzione di numerose specie viventi – come i dinosauri 65 milioni di anni fa, e mammuth, castori giganti, tigri dal dente a sciabola, lupo famelico nell’ultima era glaciale causata dalla caduta dell’asteroide di cui sopra.
Noi ci limiteremo a considerare le ultime due grandi catastrofi naturali – la caduta dell’asteroide che generò il mito del diluvio universale di 12.900 anni fa e quella dell’esplosione del supervulcano a Toba in Indonesia di 74.000 anni fa – al fine di verificare le eventuali similitudini che porteranno l’uomo a concepire la nascita dei primi due dei: il dio Sole e la madre Terra.
Di seguito le prime trenta pagine del libro di Alessandro De Angelis, Gesù il Che Guevara dell'Anno Zero.

Il dio Sole e la madre Terra

L’esplosione generata dal supervulcano a Toba sprigionò nell’atmosfera 2.800 Km3 di cenere che si sparsero nell’atmosfera oscurando il sole: un cataclisma epocale. Le colonne di cenere si innalzarono per settimane e per decine di chilometri nell’atmosfera, facendo sì che il diossido di zolfo, unendosi con il vapore acqueo, formasse degli “specchietti” su cui si riflettevano i raggi solari. Non arrivando più calore sulla Terra, essa iniziò a raffreddarsi: si formarono tempeste di neve che imbiancarono il pianeta, la neve si trasformò in ghiaccio, l’anidride solforosa, cadendo a terra, rese sterili i terreni e avvelenò le acque; la temperatura degli oceani si abbassò fino a 5-6°C. Il risultato fu un’era glaciale che si protrasse per oltre mille anni e che fece sì che di 60-70 milioni di individui che popolavano il pianeta rimanessero solamente 1000-2000 superstiti in un piccola zona dell’Africa orientale. Questi sopravvissuti ripopolarono in seguito i continenti – come è risultato dagli studi degli scienziati del “Genographic Project” attraverso l’analisi dei campioni di DNA presi da popoli diversi in ogni angolo del pianeta.
Anche se con un meccanismo diverso, la caduta dell’asteroide di 12.900 anni fa portò lo stesso risultato: l’oscuramento del Sole da parte dei detriti dell’asteroide che coprirono l’intera atmosfera ed il sorgere di una nuova era glaciale. Ciò condusse ad una drastica diminuzione della popolazione mondiale e a una perdita dell’eventuale tecnologia che l’uomo aveva acquisito nell’intervallo di tempo compreso tra i due catastrofici eventi. Ciò che a noi più interessa è cercare di capire, da un punto di vista antropologico, le conseguenze che ebbero sui superstiti queste immani catastrofi, che portarono in seguito alla nascita dei primi due dei.
Immaginiamo questi uomini che videro improvvisamente il Sole oscurarsi, le temperature abbassarsi drasticamente nel giro di pochi giorni, tempeste globali che imbiancarono la maggior parte della superficie terrestre con la conseguente perdita – quasi totale – della vegetazione del pianeta, che determinò la morte degli animali erbivori prima, dei carnivori poi, e da ultimo anche quella della specie umana. Questa drastica degenerazione dell’habitat circostante portò a lotte intestine tra i vari clan prima, ed infine tra uomo e uomo, al fine di poter racimolare il poco cibo rimasto a disposizione o le carcasse degli animali deceduti. Questi uomini videro morire genitori e figli e dovettero darsi a battaglie cruente tra di loro per poter sopravvivere; riuscirono tuttavia a comprendere – raccontandolo in seguito ai posteri – che la causa di tutto ciò fu l’oscuramento del Sole, il quale, attraverso il suo calore, dava vita e sostentamento agli uomini e agli animali grazie al processo di fotosintesi clorofilliana, che permetteva il fiorire della vegetazione.
L’uomo capì quindi che il Sole, attraverso il calore, era portatore di vita per l’uomo, proprio come la Terra, la quale, attraverso la vegetazione, permetteva il sostentamento di tutte le specie animali, uomo compreso.
Questi racconti, con ogni probabilità, rimasero impressi ai posteri dei superstiti, che, per cercare di far sì che questi infausti eventi non si ripetessero, resero vive nelle loro menti queste due entità – il Sole e la Terra – affinché il primo sorgesse giorno dopo giorno senza più oscurarsi e la Terra continuasse ad essere fertile e feconda per la raccolta e la coltivazione. Iniziarono quindi a vivificare queste due entità nel proprio pensiero per potersi relazionare ad esse attraverso preghiere ed offerte, creando una nuova figura mediatrice tra l’uomo e questi nuovi dei: gli sciamani e gli stregoni. Quest’ultimi si ingraziavano gli dei attraverso canti rituali ed ossessivi, preghiere ed offerte. Ovviamente gli dei non mangiavano, ma gli stregoni sì; questa nuova funzione permise loro di esentarsi dai rischi inerenti le battute di caccia e di raccolta di cibo che gli altri uomini svolgevano in gruppo per cercare di limitarne i pericoli. Difatti circondare un’animale al fine di ucciderlo, oppure reagire in gruppo con utensili primitivi all’attacco dei feroci predatori carnivori, permetteva loro, nella maggior parte dei casi, di avere la meglio e di prevalere sulle altre specie animali. Così, mentre gli sciamani si ingraziavano gli dei, attraverso riti propiziatori e preghiere, affinché tutti tornassero illesi dalle battute di caccia, una parte della cacciagione veniva data loro come compenso per la protezione degli dei.
Il ripopolamento dell’habitat, la nascita di nuovi villaggi, che col tempo diverranno poi città ed infine stati, porteranno alla nascita di numerose altre divinità, come il dio della caccia, della pesca, dei fenomeni atmosferici e via dicendo.
Con questo escamotage sciamani e stregoni elusero i pericoli derivanti dalla caccia, prendendo per sé parte del frutto di questa, fingendo che fosse destinata agli dei che ovviamente, a differenza loro, non avevano bisogno di nutrirsi.
Ma cosa sarebbe successo – e con ogni probabilità successe – se un giorno qualcuno fosse tornato ferito da una battuta di caccia, qualcun altro menomato nella battaglia, o altri in fin di vita? Gli uomini avrebbero potuto mettere in discussione l’operato mediatico di sciamani e stregoni o addirittura dubitare dell’esistenza stessa degli dei.


La nascita del peccato

È a questo punto che le figure mediatrici inventarono il peccato come escamotage a questa evenienza. Se qualcuno fosse rimasto ferito o ucciso, gli sciamani avrebbero attribuito la colpa agli uomini, rei di aver pregato poco o donato poche offerte agli dei, attirando così la collera divina. Ed ancor di più: se essi non avessero pregato con più ardore ed aumentato le offerte, il Sole sarebbe tornato ad oscurarsi, la Terra non avrebbe prodotto più cibo, perché gli uomini avevano peccato: avevano osato mettere in discussione l’esistenza degli dei o la funzione mediatrice degli sciamani.
Questa coercizione psicologica funzionò bene a tal punto che, quando furono costruite – o per meglio dire ristrutturate – le piramidi in Egitto, i sacerdoti egiziani poterono far leva su di essa per intimorire i lavoratori dediti alla costruzione (e non agli schiavi, come è stato talvolta sostenuto), paventando il rischio che, se la piramide non fosse finita prima della morte del faraone, il Sole sarebbe sprofondato nel Nilo, facendo piombare l’uomo e la Terra nell’oscurità più totale e decretando la loro morte.

La nascita delle prime civiltà stanziali

Dopo la catastrofe del “diluvio universale”, l’uomo riscoprì l’agricoltura, inizialmente nelle alte zone montuose: sebbene non fossero le più indicate per questa attività, furono le sole a salvarsi dalla catastrofe, non essendo colpite dagli enormi tsunami che si sollevarono dopo che grossi frammenti dell’asteroide caddero nei mari, rendendo, con l’acqua salata, sterili i terreni costieri e le foci dei fiumi dove l’uomo abitualmente sostava e viveva. Con il passare degli anni, quando queste zone si bonificarono, l’uomo ritornò nelle zone costiere e nei delta dei grandi fiumi, quali il Nilo, il Tigri e l’Eufrate. Sorsero quindi le prime comunità di villaggi stanziali dediti alla raccolta e all’allevamento di ovini e bovini nei dintorni del villaggio. Il surplus di raccolta del cibo (grano in primis) veniva stipato in magazzini per poi essere ridistribuito durante i periodi di magra all’intero villaggio.
Ma non tutti si erano convertiti all’agricoltura: il nomadismo esisteva ancora in maniera diffusa. I nomadi, aggregatisi in bande, spesso attaccavano i villaggi depredando i magazzini, uccidendo gli abitanti e violentandone le donne. Ben presto furono eretti i primi muri perimetrali a difesa dei villaggi che, ingrandendosi a dismisura, divennero città, e nacquero così i primi eserciti di difesa.
Quando i predoni nomadi attaccavano le città, venivano quasi sempre sconfitti e fatti prigionieri, al fine di essere usati per i lavori più umili e faticosi. Nacquero così i primi schiavi; le città, ingrandendosi sempre di più, iniziarono a specializzarsi in lavori quali la cesellatura, l’edilizia, i sistemi idrici e fognari, la costruzione di armi e altro ancora.

Lo sviluppo delle civiltà gilaniche

Un capitolo a parte meritano le civiltà “danubiane” o “gilaniche”, che vissero per circa cinquemila anni strutturate in aggregati di villaggi senza conoscere alcuna forma di guerra, religione e potere.
Cinquemila anni di storia volutamente dimenticati dai gestori della cultura scolastica, soprattutto universitaria, in quanto scomodi da giustificare per la sopravvivenza di una cultura del potere che ha fondato le sue basi sulle discriminazioni economiche e religiose.
Il neologismo “gilania”, coniato dalla storica e archeologa Riane Eisler, deriva dalle parole greche gun» (gunè) “donna” e ¢n»r (anèr) “uomo” (la lettera “l” tra i due ha il duplice significato di “unione” – dal verbo inglese to link “unire – e di “liberare” – dal verbo greco lÚw (lùo) che significa “sciogliere”, “liberare”). Una società basata sull’uguaglianza dei sessi e sull’assenza di gerarchia e di autorità, le cui tracce si riscontrano nelle comunità del paleolitico superiore ed in quelle agricole del neolitico (8.000 – 2000 a.C.). È quindi falso l’assioma di storici ed antropologi secondo cui l’inizio della civilizzazione sarebbe stato direttamente proporzionale alla diffusione della violenza e delle guerre. Questi studi sono stati condotti soprattutto da archeologi e storici, tra cui Marija Gimbutas e Riane Eisler. Essi hanno dimostrato come, grazie al matrismo, per oltre cinquemila anni gli esseri umani abbiano vissuto in comunità egualitarie e pacifiche sino al 4.000 a.C., quando gli invasori Kurgan, in seguito ad una piccola glaciazione, si spostarono dal sud della Russia alla ricerca di zone più abitabili. Arrivati a contatto con queste civiltà, le distrussero con facilità attaccandole grazie ai cavalli (animali sconosciuti in quelle zone) e ad asce di ferro. Si passò quindi al dominio del patriarcato e alla nascita di gerarchie, classi sociali, autorità e le prime forme di religione.
È da notare che nello stesso periodo comparvero improvvisamente i sumeri con un sistema sociale basato sul patriarcato e con l’introduzione di una nuova forma di religione a struttura di potere piramidale. Difatti agli dei del pantheon veniva assegnato un numero corrispondente al loro grado di potere: al dio Anu, a capo del pantheon e padre degli dei Enki e Enlil, venne assegnato il numero più alto; sotto di lui c’era suo figlio Enlil, nato dall’unione di Anu con sua sorella, poi Enki, nato invece dall’unione di Anu con la sua concubina; il numero – e quindi il potere – decresceva nei figli e nella loro discendenza.
A parte questo, ci preme sottolineare il fatto che l’epiteto di Enlil era ILU.KUR.GAL, ovvero “signore della grande montagna”, così come suo figlio ISH.KUR, che significa “signore della montagna”. Difatti in sumero il glifo KUR indica “altura” o “montagna”, così come per il KUR dei KUR.GAN, ove il glifo KUR ha il significato di “altura”; segue la componente di sumero GANUN, accadico GANUNU, “luogo di abitazione”. Non siamo in grado di dimostrare con le prove archeologiche a disposizione che i Sumeri siano un ceppo distaccato dei Kurgan, ma di certo l’affinità etimologica dei glifi corrispondenti è significativa e rilevante, cosi come la loro comparsa nello stesso periodo dei Kurgan.
Le società neolitiche danubiane avevano per modello il culto della dea madre, non erano né matriarcali né patriarcali, ma basate sul modello del partenariato o gilania, con un funzionamento egualitario e non violento. Queste società vivevano in un modello comunitario, come si evince dalla loro architettura e dalle cerimonie religiose, i cui costi erano a carico di tutta la comunità. Quando si compievano questi rituali, al centro sedevano i poveri e i deboli, che occupavano un posto d’onore, ed anche nei siti funerari non si sono riscontrate differenze legate al sesso o alla condizione sociale, né nessun altro tipo di gerarchie. Lo sviluppo tecnologico avvenne ugualmente, ma non fu utilizzato per creare differenze di valori, né per costruire armi o strutture religiose collegate a un qualsiasi tipo di potere politico-economico. Nessun ritrovamento di armi, né raffigurazioni di guerre e di conquistatori, nessuna traccia di sacrifici umani, di schiavitù o di manifestazioni religiose a carattere dominante.
Kurgan e Sumeri, al contrario, erano governati da classi sacerdotali e guerriere, che avevano il dominio sui cavalli e le armi da guerra, ed erano organizzate su base gerarchica ed autoritaria con una volontà di potere e di dominio fortemente distruttrice verso gli altri popoli. Così come i Kurgan, successivamente anche gli invasori Hyksos, padri degli ebrei, invasero e conquistarono l’Egitto con i cavalli, animali allora sconosciuti, con carri ed armi tecnologicamente superiori. Un’unica linea di continuità conquistatrice e dominatrice: i Kurgan per ciò che concerne le tattiche e le strategie militari di queste popolazioni nomadi, e con i Sumeri per quanto riguarda l’aspetto religioso.
Ricordiamo che la prima volta in cui il dio degli Ebrei pronuncerà il suo nome sarà in Gn 17:1-2, dove afferma: “Io sono El Shaddai, cammina alla mia presenza e sii perfetto”. Il sostantivo El ha in ebraico il significato di “signore”, mentre Shaddai deriverebbe dall’accadico Shaddu, che significa “montagna”. Secondo questa interpretazione, El Shaddai, l’epiteto con cui viene chiamato Yahweh nella Bibbia, significava in origine “dio della montagna”; la validità di questa traduzione è confermata anche da numerosi passi biblici dove si evince come il dio adorato dagli Ebrei fosse un “dio delle montagne”. La ricorrenza di questo epiteto è testimoniata diverse volte nella bibbia, come nei Salmi e nel I libro dei Re, che riportano:

Ma i servi del re di Aram dissero a lui: «Il loro dio è un dio delle montagne; per questo ci sono stati superiori; forse se li attaccassimo in pianura, saremmo superiori a loro».

Dio ha scelto a sua dimora il monte Basan, il monte delle alte cime; il Signore lo abiterà per sempre.

Inoltre è proprio sul monte Sinai – scelto come dimora – che Yahweh consegnerà a Mosè le tavole della legge.
Come abbiamo dimostrato nel I volume della trilogia, Baal Hadad era El Shaddai/Yahweh, difatti Baal corrispondeva al generico attributo di “Signore”, mentre Hadad – evoluzione accadica del sumero ISH.KUR – significava “montagna”. A sua volta ISH.KUR era un dio sumero il cui nome era composto da un gioco di parole che deriva dall’unire l’accadico ISHA (signore) con la desinenza cananea ISH (montagna), che veniva tradotto in accadico con SHADDU, che si evolverà in ebraico in EL SHADDAI; come sopra detto il glifo sumero KUR significava invece “montagna”. Anche EN.LIL, padre di ISH.KUR, era caratterizzato dall’epiteto di ILU.KUR.GAL, che aveva il significato di “Signore della grande montagna”, epiteto molto simile a quello di “Cavaliere delle Nubi” attribuito a Baal nelle tavole ugaritiche e che ritroviamo per Yahweh nei Salmi dell’Antico Testamento:

Per sette anni possa Ba‘al essere assente,
per otto anni il Cavaliere delle Nubi!

Cantate, o dèi! Inneggiate, o suoi cieli!
Spianate la strada al Cavaliere delle Nubi!
In Yahweh gioite
ed esultate dinanzi a lui!

Era infatti nelle alte zone montuose che i temporali avvenivano più frequentemente insieme a tuoni e fulmini, con un maggior numero di addensamento di nubi.
Riassumendo, attraverso una traslitterazione e una evoluzione secolare, il “Signore della Montagna” fu traslitterato da Enlil ad Ishkur, da Ishkur a Baal Hadad e da quest’ultimo a Yahweh. Ben sapevano i padri degli Ebrei tutto questo, tanto che il dio Baal lo ritroviamo citato numerosissime volte nell’Antico Testamento, e laddove gli Assiri non riuscirono ad esecrare il loro tentativo di monoteismo su Baal ci riusciranno invece gli Ebrei attraverso la sua traslitterazione nel dio biblico Yahweh. Difatti sia Yahweh che Baal erano entrambi figli del dio Ilu, l’Ilukurgal o Enlil degli dei sumeri, che aveva come figli sia Baal che Yaw o Yam, da Yaw/el o signore Yaw nascerà il dio Yahweh che assorbirà sia l’epiteto di Baal “cavalcatore delle nubi”, sia la dea Asherah o Attiratu, moglie di suo padre Ilu, come risulta da un’iscrizione paleo-ebraica dell VIII sec a.C., dove si legge: “Ti benedico tramite Yahweh e tramite la sua Ašerah”.


Nelle fonti bibliche dell’Antico Testamento troviamo ulteriori conferme della convergenza di Ba’al su Yahweh, in quanto numerosi passi biblici testimoniano il passaggio dall’uno all’altro dio, come ad esempio nel caso di Giudici 6: 25, dove si può evincere come Israele tributava al dio Ba’al un culto già al tempo del giudice Gedeone.
Lo stesso giudice Gedeone porta inizialmente un nome, Ierrubaal, composto con quello del dio Baal, di cui in seguito distrugge l’altare tagliandone l’Asherah, per comando di Yahweh, tornando poi gli Israeliti in seguito a servire i Baalim e le Astarti.
Anche nel I libro di Samuele (7:4 e 12:10) si racconta che la casa d’Israele al tempo di questo profeta abbandona pentita i Baalim e le Astarti.
Ancora nel I libro dei Re, al capitolo 16, il Re Ahab di Israele edifica in Samaria un santuario e un altare di Baal, mentre nel 18° capitolo vengono presentati i profeti di Baal, sconfitti in una gara e poi fatti sterminare da Elia.
Al capitolo 22 troviamo ancora Baal servito da Ahazia Re d’Israele, mentre nel capitolo 10 del II libro dei Re viene presentata la strage dei fedeli di Baal sotto Iehu, annunciata da Elia, e si narra della distruzione del santuario di Baal in Samaria.
Ricordiamo che, quando gli invasori proto-Ebrei Hyksos invasero l’Egitto, importarono l’adorazione del dio Baal scegliendo il dio Egizio Seth, tra gli dei Egizi, per affinità elettive con il loro dio.
Fu solamente in seguito alla loro cacciata che cercheranno di imporre il monoteismo, traslitterando Baal in Yahweh, compresa la sua sposa Asherah.
Per questo motivo, in numerose attestazioni epigrafiche ritroviamo per Baal il medesimo epiteto attribuito a Yahweh nell’Antico Testamento, ovvero Adonay, attestato nella Bibbia con 439 ricorrenze.
In alcune di queste epigrafi ritrovate a Cartagine leggiamo: “Alla signora, a Tanit volto di Baal, e al Signore, a Baal Hammon, al quale è votato Adonibaal, figli d’Himilkat, figli di Baalhanno”.
Tanit era il corrispondente cartaginese della dea Astarte e Asherah, consorte di Baal; di fatto nell’iscrizione epigrafica possiamo leggere nomi come Adonibaal, dove a Baal viene attribuito uno dei più

importanti epiteti riferiti a Yahweh nell’Antico Testamento: Adonay, che in ebraico significherebbe “mio Signore”.
Il passaggio dal dio Baal a Yahweh non fu indolore per il popolo israelita, difatti al capitolo 17 del II libro dei Re leggiamo che i figli d’Israele “rigettarono tutti i precetti di Yahweh, loro Dio, e si fabbricarono simboli fusi, due vitelli, costruirono un’Asherah e si prostrarono davanti a tutta la schiera celeste ed adorarono Baal”.
Inoltre Baal era adorato anche nel Tempio di Gerusalemme, come viene confermato dalla riforma di Giosia (648-609 a.C.), ove si menziona la distruzione degli oggetti relativi al culto di Baal nel Sacro Tempio, nonché l’eliminazione dei sacerdoti che offrivano incenso a Baal.
Vorremmo però porre l’attenzione su un importantissimo passo che troviamo in Geremia 9:12, dove si parla degli Ebrei che “seguirono i Baalim che i loro padri fecero loro conoscere”.
Questa potrebbe essere la conferma che gli invasori Hyksos erano i padri degli Ebrei che nel 1750 a.C. annetterono l’Egitto al loro dominio, importando il loro dio Baal, in seguito traslitterato in Yahweh, facendogli assorbire inoltre le caratteristiche degli altri dei sumeri come Enlil, Enki, Ishkur, Marduk ecc..
Presso gli antichi Ebrei il culto di Baal era dunque tradizionale, ed aveva i propri santuari sia a Gerusalemme che in Samaria.
Sarà solamente in seguito, con la nascita del primo monoteismo, che molti Israeliti abbandonarono Baal facendolo convergere, con caratteristiche comuni, con Yahweh, il dio dell’antico Testamento ancora oggi adorato da cristiani, ebrei e musulmani.
Gli Ebrei furono gli ultimi a costruire il loro dio e gli ultimi a costruire il figlio di Dio, cioè quel Gesù che, come vedremo nei prossimi capitoli, fu creato sulla base di di un personaggio in carne ed ossa realmente esistito per essere divinizzato come l’ultimo soter e dio solare.
Come le società gilaniche, anche quelle essene (dove viveva Gesù) erano società dove le risorse erano distribuite in maniera eguale nella collettività a seconda delle esigenze dei singoli individui, tanto che, in un passo del Nuovo Testamento, Simon Pietro uccide due anziani coniugi, Anania e Zaffira, per aver venduto un loro terreno trattenendo di nascosto una parte del ricavato in denaro per sé.
Scovato l’inganno da Simon Pietro, vennero entrambi uccisi per opera dello spirito santo, che scoprirete poi essere una metafora per non far trasparire l’apostolo Pietro come un rivoluzionario senza scrupoli e sempre pronto con la spada. In ogni caso, ciò che si vuole evidenziare è che queste società, quando furono annesse all’impero, rifiutarono la tassazione forzata dei romani, e gli uomini ad esse appartenenti lottarono fino alla morte per contrastare il disegno di potere dell’impero romano.
Iniziamo ora a vedere il contesto storico in cui sarebbe vissuto l’uomo più famoso della storia di questo pianeta: un uomo fatto divenire icona, mito e divinità, dal nome di Gesù.

Capitolo Secondo
Gesù: il Che Guevara dell’Anno Zero

Immaginate un talebano che si metta a predicare amore verso gli americani, esortandoli a pagare le tasse ad Obama. Sarebbe immediatamente ucciso dai suoi connazionali. Eppure questi rivoluzionari, se paragonati agli Zeloti (rivoluzionari dell’epoca di Gesù), sarebbero docili agnellini. Difatti, in quell’epoca vi furono migliaia di crocifissioni da parte dei Romani verso questi rivoluzionari. che incendiavano i villaggi dei Samaritani che pagavano le tasse ai Romani. La prima guerra giudaica (66-74 d.C.) finì in un vero e proprio bagno di sangue con oltre 600.000 morti. Parlare di un Gesù che in quel periodo invitava i suoi connazionali a pagare le tasse ai Romani dicendo “date a Cesare quel che è di Cesare” e predicando amore verso il prossimo è un’eresia storica non plausibile in quel contesto. In tutte le omelie che si fanno nelle chiese, non vengono mai citate frasi scomode relative a un Gesù rivoluzionario quali le seguenti:

Gesù entrato nel tempio si mise a scacciare coloro che vendevano e compravano nel tempio; rovesciò le tavole dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombi.

Non crediate che sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada.

Allorché i discepoli furono respinti dagli abitanti di un villaggio samaritano, ritornarono da Gesù e gli chiesero: Signore vuoi che facciamo discendere su di essi un fuoco che li distrugga?
Chi non ha la spada venda il mantello e ne compri una, perché vi dico per quel che mi riguarda volge alla fine. Gli apostoli risposero: signori, ecco qui due spade.

Allora quelli che erano con lui, vedendo che lo stavano catturando, dissero: signore dobbiamo colpire con le spade?

Simone che aveva una spada la trasse fuori e colpì il servo del sommo sacerdote.

Non sono venuto a portare la pace, ma ferro, fuoco e guerra.

Se io vi dicessi di non essere venuto a portare la pace, ma un mitra, oppure di vendere la vostra macchina per comprare un Kalašnikov, sarebbe interpretato da voi come un’incitazione alla rivolta o alla guerra; ma il mitra può essere rapportato alla spada di quel tempo, così come un’automobile ai costosi mantelli dell’epoca.
Iniziamo allora ad analizzare il contesto storico che portò all’occupazione romana in Palestina per capire il motivo delle rivolte che vi furono ed i personaggi coinvolti, per arrivare a vedere dove si muoveva il pacifico predicatore Gesù secondo la favola dei vangeli e per capire quali sono gli eventuali legami, che dimostreremo più avanti, con i legittimi eredi al trono spodestati dai romani, ovvero la famiglia reale degli Asmonei.
Ripercorriamo le tappe che portarono alle guerre giudaiche partendo dalla morte di Giovanni Ircano I, a cui succedettero: Aristobulo I (104-103 a.C.), figlio di Giovanni, che conquistò la Galilea, Alessandro Ianneo (103-76 a.C.), fratello di Aristobulo I, padre di Ircano II ed Aristobulo II, cui succedette Alessandra Salomé (76-67 a.C.), vedova di Alessandro Ianneo, alla cui morte si scatenò una lotta di successione tra i figli Ircano II e Aristobulo II.

Dopo essere stato spodestato da suo fratello Aristobulo II, Ircano si rivolse a Pompeo che nel 63 a.C. aveva appena conquistato la Siria. Pompeo cercò di risolvere la situazione per via politica, eleggendosi giudice della diatriba.
Pompeo, considerando  Aristobulo II più pericoloso per Roma, lo detronizzò ed riassrgnò il regno Ircano II con cui si alleò, ritenendolo più debole e malleabile.
Quello che potremmo definire il partito dei ‘nazionalisti’ giudaici si schierò allora con con Aristobulo II, e diede inizio a una sanguinosa ribellione contro Ircano II.
Pompeo, inviò truppe in aiuto di Ircano II, portando così alla prima occupazione romana della Palestina, come attestato nei suoi scritti dallo storico ebreo del I secolo d.C. Giuseppe Flavio.
Una volta morto Aristobulo, “i suoi discendenti continuarono la lotta di rivendicazione al trono della Giudea contro Ircano II”.
Pompeo cercò di riprendere in mano la situazione riducendo il potere di Ircano II. Dopo averlo degradato a tetrarca, per placare gli animi dei rivoluzionari, gli affiancò Erode Antipatro, capostipite della dinastia Erodiana, come ministro.
Dopo Pompeo, Giulio Cesare riconfermò al trono di Gerusalemme Ircano II, che venne poi fatto prigioniero nella guerra contro i Parti.
A questo punto Erode il Grande, figlio di Erode Antipatro, dopo aver ottenuto il favore dei Romani, nel 37 a.C. si pose sul trono.
Alla sua morte, nel 4 a.C., il suo regno venne suddiviso fra i suoi figli: a Erode Archelao (4 a.C.-6 d.C) vennero assegnate la Giudea e la Samaria; a Erode Antipa (4 a.C.-39 d.C.), la Galilea e la Perea; a Erode Filippo (4 a.C.-39 d.C.), la parte nord-orientale del regno.
Nel frattempo i rivoluzionari proseguirono nella loro azione, il cui apice fu la rivolta scatenata da Giuda il Galileo (della città di Gamala, Giuda figlio del rabbi Ezechia, un rivoluzionario vissuto durante il regno di Ircano II e assassinato da Erode, era fondatore della setta degli Zeloti e raccolse l’eredità politica del padre).
Dopo che la Palestina fu annessa, nel 6 d.C., alla Siria, diventando così una provincia romana, Publio Sulpicio Quirino bandì un censimento della popolazione della Giudea per valutare la forza ed il patrimonio di Archelao. Fu proprio il censimento a provocare la rivolta capeggiata da Giuda il Galileo.
Questi era padre di cinque figli: il primo-genito Giovanni/Gesù, poi Simone, Giuda, Giacomo e Menahem/Giuseppe, che diventeranno gli apostoli del cristianesimo.
Di queste guerre e di Giuda il Galileo ci parlano alcuni documenti storici del I secolo d.C., quali Antichità Giudaiche e Guerra Giudaica del già citato Giuseppe Flavio, anch’egli discendente, da parte di madre, dalla famiglia reale degli Asmonei e appartenente alla stirpe sacerdotale.
Giuseppe Flavio fu anche comandante dell’esercito giudaico nella lotta antiromana e governatore della Galilea; dopo la sua cattura, divenne consigliere dell’imperatore Vespasiano e di suo figlio Tito; nei suoi libri sono descritte dettagliatamente le vicende storiche accadute nella Palestina di quegli anni.

Giuda il Galileo si pose come guida di una quarta filosofia. Questa scuola concorda con tutte le opinioni dei Farisei eccetto nel fatto che costoro hanno un ardentissimo amore per la libertà, convinti come sono che solo Dio è loro guida e padrone.
Ad essi poco importa affrontare forme di morte non comuni, permettere che la vendetta si scagli contro parenti e amici, purché possano evitare di chiamare un uomo “padrone”.

V’era Giuda, figlio del capo bandito Ezechia, che era stato uomo di grande potere e fu catturato da Erode solo con molta difficoltà.
Questo Giuda, a Seffori, in Galilea, mise insieme un numero di uomini disperati e assalì il palazzo reale, prese tutte le armi che vi erano immagazzinate, armò ognuno dei suoi uomini e se ne andò con tutte le proprietà che poté prendere.
Divenuto ormai lo spavento di tutti, depredava quanti incontrava, aspirava a cose sempre più grandi, la sua ambizione erano ormai gli onori reali, premio che egli si aspettava di ottenere non con la pratica della virtù, ma con la prepotenza che usava verso tutti.
Giuda spinse gli abitanti alla ribellione, colmandoli di ingiurie se avessero continuato a pagare il tributo ai Romani e ad avere, oltre Dio, padroni mortali. Questi era un dottore che fondò una sua setta particolare [gli Zeloti], e non aveva nulla in comune con gli altri.

Lo stesso epiteto di Zeloti viene attribuito nei Vangeli agli Apostoli/fratelli di Gesù, come vedremo nei prossimi capitoli.

I termini che indicavano i combattenti messianisti zeloti sono:

− in ebraico Qanana (Cananei) e Bariona;

− in greco Zelotes e Lestes;

− in latino Sicarii, Latrones e Galilaei (Sicari, Ladroni e Galilei).

Gli Zeloti ebbero inoltre stretti rapporti con la comunità essena di Qumran, la località dove recentemente sono stati scoperti i famosi Manoscritti del Mar Morto, e dove si ritrovano le tracce che collegano la comunità essena a questi rivoltosi, come ad esempio il Rotolo della guerra.
Ippolito Romano ci dice degli esseni:

Sono divisi fin dall’antichità e non seguono le pratiche nella stessa maniera, essendo ripartiti in quattro categorie. Alcuni spingono le regole fino all’estremo: si rifiutano di prendere in mano una moneta [non ebraica] asserendo che non è lecito portare, guardare e fabbricare alcuna effigie; nessuno di costoro osa perciò entrare in una città per timore di attraversare una porta sormontata da statue, essendo sacrilego passare sotto le statue. Altri udendo qualcuno discorrere di Dio e delle sue leggi, si accertano se è incirconciso, attendono che sia solo e poi lo minacciano di morte se non si lascia circoncidere; qualora non acconsenta essi non lo risparmiano, lo assassinano: è

appunto da questo che hanno preso il nome di Zeloti, e da altri quello di sicari. Altri ancora si rifiutano di dare il nome di padrone a qualsiasi persona, eccetto che a Dio solo, anche se fossero minacciati di maltrattamenti e di morte.

Il movimento rivoluzionario degli Zeloti fu dunque molto vicino a quello degli Esseni, soprattutto durante gli anni della prima guerra giudaica, quando nel 66 d.C. si riunirono dando luogo a una nuova rivolta, contrastata da Vespasiano prima e da suo figlio Tito poi. Conquistarono Gerusalemme nel 70 d.C., saccheggiando e distruggendo le mura del Tempio. La rivolta fu sedata nel 74 d.C. con la presa di Masàda, presidio degli Zeloti capeggiati da Eleazaro, ultimo discendente di Giuda.
Nelle opere storiografiche di Tacito e di Giuseppe Flavio si narra che in questa grande rivolta persero la vita almeno seicentomila ebrei, corrispondente a circa la metà del popolo palestinese.
Negli anni 115/117 d.C., sotto l’imperatore Traiano, ci fu un’altra ribellione guidata dalle comunità ebraiche, conosciuta come Seconda guerra giudaica, anch’essa soffocata nel sangue con altrettanti morti.
Un’altra ancora scoppiò quando l’imperatore Adriano pose nel tempio di Gerusalemme la statua di Giove Ammone, un idolo pagano.

La terza guerra giudaica si ebbe infine nel 132 d.C. e provocò la sconfitta di due legioni romane e l’occupazione di Gerusalemme da parte di Simone Bar Kochba e dei suoi uomini. Bar Kochba fu eletto dai Giudei re di Gerusalemme e Messia, per poi essere sconfitto e ucciso nel 135 d.C. da cinque legioni romane, inviate dall’imperatore Adriano, che rioccuparono la città. Siamo arrivati all’anno 135 d.C.: riassumendo, Simone Bar Kochba, dopo aver conquistato Gerusalemme, fu eletto nuovo Messia d’Israele. Fino a questo momento, di Gesù non vi è alcuna traccia nella storia: ancora in attesa di un Soter che li avrebbe dovuti portare alla vittoria contro le tirannie dell’invasore romano, gli Ebrei arrivarono ad ‘eleggere’ Messia Simone Bar Kochba.
L’unico scritto che ci parla di Gesù è il Nuovo Testamento, oltre alle
interpolazioni ed aggiunte come il Testimonium Flavianum, che dimostreremo essere un clamoroso falso.

Iniziamo quindi un’analisi che ci porterà a riscrivere duemila anni di storia ufficiale, duemila anni di menzogne e falsità, che fanno da contraltare alle frasi dei Vangeli di Gesù, di seguito riportate:

1) “Date a Cesare ciò che è di Cesare”;

2) “Beati i poveri perché vostro è il regno dei cieli”;

3) “Molti dei primi saranno gli ultimi e molti degli ultimi saranno i primi”;

In un periodo in cui vi fu la carestia (tanto che la regina Elena mandò grano dall’Egitto in aiuto alle popolazioni del luogo) e in cui i romani imponevano tasse pesanti come fardelli insostenibili, un Gesù che avesse osato dire di dare a Cesare quel che è di Cesare, invitando i suoi connazionali a pagare le tasse ai romani, e inneggiare alla povertà, avrebbe commesso un autentico suicidio: sarebbe stato immediatamente lapidato dai suoi stessi connazionali.

Vediamo ora i vari passaggi che portarono alla costruzione dei primi proto-vangeli, e quindi dei personaggi vetero-testamentari.
Negli anni  139-144  d.C., Marcione (figlio del vescovo della città di Sinape) si trasferì da Antiochia a Roma, portando con sé una copia del Diegesis, un libro che verrà tradotto in greco ed in latino e costituirà la base comune per la stesura di altri vangeli, tra i quali lo stesso Vangelo di Marcione.
Egli iniziò a diffondere notizie sulle ipotetiche figure di Paolo di Tarso e di Luca, sino ad allora illustri sconosciuti, poi inizierà a costruire il “messia” facendolo discendere da Cafarnao nell’anno 15 del regno di Tiberio, non come uomo in carne ed ossa ma di un puro spirito, con la conseguenza di essere allontanato dalla setta di Roma, che propendeva per la figura di un messia umano e divino al tempo stesso, morto su una croce.

Durante il suo soggiorno a Roma in qualità di vescovo, tra il 140 ed il 144, Marcione avrebbe anche tentato di definire un canone di tutti gli scritti utili alla nuova religione, escludendo completamente i libri del Nuovo Testamento. Per questo motivo la comunità giudaico-esseno-cristiana locale lo allontanò nel 144 d.C., dando luogo al primo scisma nella storia della cristianità e creando una nuova corrente religiosa, il marcionismo, destinata a durare per qualche secolo.
Il VAngelo di MArcione potrebbe essere il primo in senso assoluto, ad essere stato scritto, ed è assai probabile che dal questo sia stato ricavato il Vangelo di Luca, che gli corrisponde per un buon 70%..
Tra il 150 e il 160 d.C. si verificò una scissione tra la maggior parte degli ebrei della ex Nuova Chiesa di Gerusalemme, che non aderivano più alla sinagoga, e che cominciarono a distinguersi in ‘materialisti’ sostenitori dell’incarnazione e ‘gnostici’, i quali asserivano che il messia spirituale non era un uomo, bensì che discendeva dal cielo, assumendo dell’uomosolamente l’apparenza.

Solamente a questo punto, dopo 120 anni dalla sua presunta morte, iniziò a comparire il nome di Gesù: nessuno scrittore ne aveva mai parlato prima, ed a quest’epoca risalgono alcuni vangeli gnostici ritrovati in Egitto a Nag Hammadi, nel 1945.

Poi negli anni 170-180 d.C. apparvero i vangeli attribuiti ai quattro evangelisti. Questi vangeli, copiati per gran parte da quello di Marcione, cercavano di storicizzare la figura di Gesù, facendo interagire gli inventati personaggi veterotestamentari con personaggi storici realmente esistiti. Nessuno di questi testi contiene accenni sulla nascita e sull’infanzia di Gesù, che vennero aggiunti solamente in seguito nei vangeli di Matteo e di Luca, a partire dal III-IV secolo, introducendo le figure di Maria e di Giuseppe.Questi vangeli furono scritti originariamente in greco − in quanto molti nomi usati sono di derivazione greca − e non si conosce nessuna traduzione in altre lingue prima del 200 d.C..
Alcuni storici credono che il Vangelo di Giovanni (con relativa Apocalisse) sia la riscrittura di analoghi testi di Cerinto, operata per allinearli alla credenza ortodossa cristiana che allora si stava affermando.
Ma nonostante questo mantennero una forte connotazione gnostica.
Di Cerinto si sa molto poco, solo chenato ad Efeso o ad Antiochia, nel II secolo d.C. Non credeva che il mondo fosse stato creato da Dio, bensì da un Demiurgo oppure da alcuni angeli, cosi come per tante religioni più antiche quali il Mazdeismo.
Venne cacciato dalla setta di Roma per eresia.
Come il vangelo di Giovanni abbia potuto entrare a far parte del canone della chiesa romana, malgrado la sua spiccata connotazione gnostica, rimane a tutt’oggi un mistero.

Giustino Martire, uno dei più importanti padri della chiesa, nei suoi scritti (150 d.C.), per sostenere la divinità del Cristo, citò centinaia di volte il Vecchio Testamento ed altri libri apocrifi ma non citò mai i vangeli, ignorando completamente i nomi di Matteo, Marco, Luca e Giovanni.
Il primo riferimento storico riguardante i vangeli venne trovato da L. A. Muratori presso la Biblioteca Ambrosiana nella prima metà del XVIII secolo: il Codice Muratoriano (pubblicato nel 1740).
In esso vennero, per la prima volta, citati Luca e Giovanni. Il documento originale risulta risalire al 170 d.C. circa. Fu in questo periodo che prese forma il concetto di resurrezione corporea di Gesù; prima di questa data sembra non esservi nessun accenno a tale evento. Anche il Vangelo di Filippo, rinvenuto a Nag Hammadi, nega sostanzialmente la resurrezione corporea di Gesù.
Nel decennio successivo, tra il 180 ed il 190 d.C., la stesura dei vangeli canonici e quelli che in seguito verranno giudicati apocrifi, suscitò da parte degli esponenti della cultura pagana reazioni contrarie.
Il più noto di questi contestatori della nuova teologia fu Celso, autore di un’opera intesa a smontare, pezzo per pezzo, le storie diffuse con i vangeli. Secondo Celso, quello che i vangeli spacciavano per “figlio di dio” non era altro che il figlio adulterino di una filatrice e/o sarta ebrea, sposata con un carpentiere, che fu sedotta da un soldato romano di nome Panthera. Madre e figlio seguono successivamente il soldato trasferito in Egitto, e qui il ragazzo sarebbe stato iniziato a quelle arti magiche di cui farà grande uso durante la sua “strana carriera” di pseudo profeta.
Celso riteneva che i presunti miracoli di Gesù, che si era proclamato figlio di una vergine, non fossero altro che abili giochi di prestigio appresi in Egitto; inoltre negò la resurrezione di Gesù, su cui, in effetti, non esiste alcuna testimonianza diretta. Su Celso, filosofo di formazione platonica, abbiamo scarsità di notizie. Il clero cristiano si è dato attivamente da fare per distruggere tutte le sue opere.
La sua esistenza e la sua attività ci sono note perché altri autori, dopo di lui, lo hanno citato e riportato nei loro scritti per sostenere o contestare le sue opinioni: vedi Origene, Porfirio e tanti altri. Ecco alcune delle sue affermazioni: “E’ noto che tutto quello che avete scritto è il risultato di continui rimaneggiamenti fatti a seguito delle critiche che vi venivano rivolte. Colui al quale avete attribuito il nome di Gesù, in realtà non era altro che il capo di una banda di briganti”.
E’ tra il 190 ed il 200 d.C. che si suppone abbia visto la luce  l’Apocalisse o rivelazione dell’evangelista Giovanni. Il testo era nato per terrorizzare i seguaci, coercizzandoli psicologicamente, prendendo spunto da quanto già scritto su vari libri di questo genere, come quello di Zoroastro. Poi, dal 200 al 240 d.C., iniziarono ad apparire le prime immagini di Cristo, raffigurato come maestro seduto insieme ai suoi discepoli, o come un pastore con il gregge, o con un agnello sulle spalle ripreso dal culto di Serapide, ed anche come un agnello inchiodato sulla croce.
Il Cristo originariamente non raffigurava Gesù, ma un Messia o unto del Signore. È solamente nella seconda metà del II secolo che iniziò ad apparire il personaggio di Gesù e a diffondersi.
In questi anni vennero prodotte decine di vangeli da parte delle innumerevoli sette neo-cristiane. Molti di essi verranno considerati apocrifi nel corso del Concilio di Nicea (325 d.C.); altri dureranno alcuni secoli e verranno poi eliminati dalla chiesa.
Nel 258 d.C. l’imperatore Valeriano cercò di porre fine alle tumultuose discordie che nacquero tra le varie correnti “giudeo-cristiane” in seno alle comunità ebraiche, ordinando arresti, condanne ed espulsioni; poi, nel 274 d.C., l’imperatore Aureliano introdusse a Roma il culto del Dio Sole, cercando di imporlo come culto di stato, edificando un tempio/santuario dedicato a questa divinità e proclamando il 25 dicembre giorno di festa in onore del nuovo dio, del quale l’imperatore stesso si era fatto supremo sacerdote.
Un altro anno importante è il 303 d.C., quando Diocleziano emanò un decreto per la soppressione delle sette giudeo-cristiane, passando alla storia come uno dei più accaniti persecutori dei cristiani.
Diocleziano, sposato con una cristiana, fu nei primi 17-18 anni del suo regno alquanto tollerante verso i movimenti giudaico-cristiani. Acconsentì che a Nicomedia, di fronte al suo palazzo, fosse costruita una delle più grandi chiese dell’antichità.
Le cose si guastarono sia per le pressioni di Galerio (che dei cristiani aveva la massima diffidenza), sia per l’atto sconsiderato di un cristiano protervo e fanatico, che con un gesto offensivo cercò di mettere in dubbio l’autorità imperiale di Diocleziano.
La reazione dell’imperatore fu conseguente:

− abbattimento della chiesa di Nicomedia;

− arresto e condanna di 200 capi fanatici sparsi su tutto il territorio  dell’Impero.

Abbiamo accennato al Concilio di Nicea. Quetso fu indetto dall’imperatore Costantino I, e rappresenta una data fondamentale, perché fu in questa occasione che si giunse ad un accordo (in realtà forzoso, dato che i vescovi contrari alle direttive dell’imperatore furono destituiti ed esiliati) sui dogmi della fede, destinati a diventare la base della chiesa cattolica cristiana, controllata dall’imperatore.
Si trattò, senza mezzi termini, di stabilire, per gli appartenenti alle nuove sette cristiane, che cosa e a quale dio credere con il beneplacito imperiale. Venne quindi riformulato e reso standard un credo cristiano accuratamente ripulito da tutti quegli elementi di natura messianica strettamente legati al movimento Jahvista.
Come è ben noto, durante questo concilio i termini Gesù e Cristo vennero fusi per la prima volta nella frase ambigua “Gesù Cristo” (non Gesù il Cristo), conciliando le richieste delle numerose correnti principali, le più importanti delle quali si riferivano a:

− Hesus dei Druidi;

− Joshua/Jesus per gli apostati israeliti della Nuova Chiesa di Gerusalemme;

− Horo/Iusa degli egizi;
-  Ies/Iesios per i seguaci di Dioniso/Bacco;

− Krishna/Cristos originari dell’India;

− L’Unto dei Giudei;

− Krst per gli egizi.

Il processo di fusione e di unificazione delle varie fazioni non fu immediato, bensì lungo e lento, tanto che seguirono almeno altri ventuno concili convocati per stabilire le politiche e le dottrine del culto unificato.
Il fatto che i documenti autografi originali dei vangeli canonici ed apocrifi non siano più disponibili è dovuto alla decisione del concilio di distruggere tutti i testi non ritenuti validi ed adeguati al nuovo culto. Vecchia abitudine a suo tempo introdotta da Ireneo, vescovo di Lione, e da Atanasio, vescovo di Alessandria. Si parla comunque di 200 documenti eliminati.
In questo contesto si conservarono copie dei quattro vangeli ufficiali “canonici”, alcuni vangeli apocrifi ed altri documenti sottoposti successivamente al famigerato “ritocco” di Anastasio.
Altro accordo fondamentale per il nuovo credo fu quello di “stabilire d’ufficio” che Gesù e Dio sono in sostanza la stessa cosa: “Io e il Padre siamo una cosa sola”, consustanziali: fu così che Gesù fu divinizzato. Qualcosa del genere era già stato affermato, circa 3500 anni prima, nei testi della religione egizia, in riferimento ad Osiride e al figlio Horo: “Io e mio Padre siamo uno”.
I primi a farne le spese furono gli “Adozionisti”, che ritenevano Gesù nato da un naturale rapporto sessuale tra Giuseppe e Maria. Ritenevano che solo in un secondo tempo, al momento del battesimo impartitogli da Giovanni Battista, Gesù fosse stato “adottato” da Dio che gli conferisce i poteri necessari alla sua missione terrena.
La religione cristiana divenne religione ufficiale di stato dell’Impero Romano con gli Editti di Tessalonica  e di Costantinopoli, emanati dall’Imperatore Teodosio I, dietro suggerimento di Ambrogio da Milano. Con questi editti tutti gli altri culti vennero aboliti e dichiarati fuori legge; i loro beni ed i loro templi furono confiscati e devoluti al nuovo clero. Vennero eseguite le prime condanne a morte a carico dei presunti eretici.
Nel 331 d.C. Eusebio di Cesarea informò di aver ricevuto dall’imperatore Costantino l’ordine di produrre 50 copie della Bibbia, e nel 337 d.C. il Papa Giulio I fissò la data di nascita di Gesù al 25 dicembre, sempre per ordine di Costantino.
Nel 356 d.C. venne sancita in tutto l’impero la pena di morte per coloro che continuavano a seguire i culti religiosi pagani, fino al 361, quando Giuliano diventò imperatore a Roma e si dimostrò tollerante nei confronti di tutte le religioni, ristabilendo la libertà di culto, con grande acredine del clero cristiano che lo ribattezzò “Giuliano l’Apostata”.
Alla morte di Giuliano, i cristiani ripresero saldamente il potere e ristabilirono la pena di morte per coloro che praticavano i riti pagani; in seguito il vescovo di Alessandria, Atanasio, nel 367 stabilì quali erano i libri che dovevano far parte del nuovo testamento, compresi i quattro vangeli canonici.
Le 376 d.C., su ordine dell’imperatore, la data del 25 dicembre viene assegnata alla celebrazione del culto cristiano (sopprimendo quello di Mitra) che nel 380 venne dichiarato nuova unica religione dall’imperatore Teodosio a Tessalonica.
Nei seguenti cinque anni a Costantinopoli, sempre da Teodosio, venne inventato lo Spirito Santo, che si aggoiunse a Gesù e Dio, per ufficializzare la nascita della nuova Trinità, riprendendola dal modello di altri culti preesistenti, come quello Egizio.
Il 4 febbraio 1859 il Dr. Tischendorf, uno studioso biblico tedesco professore di teologia, scoprì 346 fogli di un codice antico in una stanza del monastero di santa Caterina, che si trova sul Monte Sinai. Erano scritti in greco su pelle d’asino e su di essi vi erano incisi il Vecchio ed il Nuovo Testamento, datati al 380 d.C..
Era la più antica Bibbia mai ritrovata: la Bibbia Sinaitica, ora in mostra nella British Library di Londra; essa venne acquistata nel 1933 dal British Museum di Londra, che la comprò dal governo sovietico per centomila sterline.
Il British Museum di Londra la sottopose a numerosi esami all’ultravioletto, rivelando numerose sostituzioni di passaggi compiuti da almeno nove differenti redattori, grazie ai pigmenti d’inchiostro trattenuti in profondità nella pelle su cui è scritto il testo. La Bibbia Sinaitica contiene tre vangeli oltre ad altri antichi scritti cristiani, quali La Missiva di Barnaba e il Pastore di Erma.
Se si fa un confronto tra il Nuovo Testamento della Bibbia Sinaitica con il Nuovo Testamento odierno, si possono accertare ben 14.800 alterazioni. Ma ciò che saltò subito agli occhi, creando un giustificato allarme nella Chiesa, non fu tanto ciò che vi era scritto, ma ciò che mancava rispetto alle altre bibbie di epoca più recente, e cioè la miracolosa nascita verginale di Gesù e la sua resurrezione in cielo.
Gli studiosi conclusero che il vangelo di Marco, che la chiesa stessa riconosce come il primo vangelo scritto, fu redatto da Eusebio di Cesarea; al primo vangelo si aggiunsero poi quelli di Luca e Matteo, da esso dipendenti.
Il vangelo di Marco nella Sinaitica presenta l’apparizione di Gesù sulla terra all’età di trent’anni, come il Vangelo di Giovanni, e non si fa nessun riferimento a Maria e alla sua nascita da parto verginale, né di Erode e della strage dei bambini.
Inoltre non vi è nessun riferimento alla linea di discendenza davidica di Gesù, e neppure vi sono le oltre 500 parole che oggi troviamo nel Vangelo di Marco delle bibbie odierne ai versetti 16:9-20, quelle che raccontano della resurrezione e dell’ascensione in cielo, narrazioni mancanti anche nella Bibbia Alessandrina, Vaticana, di Beza, Armena, Etiopica, Anglosassone e nel codice K di un antico manoscritto in latino di Marco. “Se Cristo non è risorto, la nostra fede è inutile”, disse Paolo di Tarso.
Il Vangelo più contraffatto è quello dell’evangelista Luca, con oltre 10.000 parole aggiunte rispetto alla Bibbia del Sinai: la frase “e fu trasportato in cielo” non appare in nessuno dei più antichi Vangeli di Luca; non compaiono neppure i versi da 6:45 a 8:26, denominati dalla Chiesa “la grande omissione”, nè i passi riguardanti l’ultima cena, tutti inseriti nel XV secolo, come scoperto dal Dr. Tishendorf.
Nel 1562 il Vaticano creò un ufficio censorio, l’Index Expurgatorius, con il compito di eliminare dai Vangeli i passaggi scomodi, definendoli erronei, dei primi padri della chiesa, arrivando così a costruire il Nuovo Testamento che oggi conosciamo.